domenica 14 gennaio 2007

Essere Nunzio in Egitto

Per gentile concessione dell'autore, nostro collaboratore al Cairo, riportiamo qui di seguito l'intervista* - pubblicata lo scorso dicembre - a S. E. Mons. Michael Fitzgerald, Nunzio Apostolico in Egitto.

Mostra orgoglioso la foto con Benedetto XVI nel grande studio di questa bella villa ottocentesca in riva al Nilo, nell’esclusivo quartiere di Zamalek. Sceglie attentamente le parole delle risposte (in italiano, potrebbe farlo in altre cinque lingue, tra cui l’arabo, ma chiedo venia). Minimizza (“I giornali dicono tante cose”) quando gli ricordo che la stampa non fu molto tenera con lui alla notizia del trasferimento nell’aprile scorso in Egitto, dopo 20 anni al Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso (di cui gli ultimi 5 da presidente).
Il discorso di Ratisbona e le successive polemiche diventano lo spunto per un lungo colloquio con S. E. Monsignor Michael Fitzgerald, Nunzio Apostolico al Cairo.

Eccellenza, quali sono state le reazioni al discorso del Papa nel mondo arabo e in particolare in Egitto?
Le reazioni sono ben note, sono state reazioni immediate scaturite da un sentimento di offesa. Credo sia emerso soprattutto questo. Credo che si sia percepito un attacco contro il profeta, perché sono state riportate parole che diminuivano il ruolo di Mohammed. Alcuni hanno legato questo ad una politica anti-islamica, mettendo il Santo Padre sullo stesso piano del presidente Bush. E’ stata una dinamica abbastanza comune nel mondo arabo: un sentimento di rabbia al quale si è aggiunto un sospetto circa le intenzioni del Santo Padre. Questo è avvenuto anche dopo, quando il Santo Padre ha detto, e diverse volte, che non aveva intenzione di offendere i musulmani ma la maggior parte ha continuato a pensare che ci fosse comunque qualche cosa dietro.

C’è stato un evidente atteggiamento fazioso dei media arabi, in quanto sono state pubblicate solo le parti più equivoche del discorso, tolte dal loro contesto…
Sì, è vero. Solo il Watanī ha pubblicato il testo integrale. Lo sheikh Tantawi di Al Azhar (la massima autorità tra i sunniti) ha scritto 5 articoli su Al Ahram (il principale quotidiano egiziano) per difendere l’Islam contro questo “attacco”. Lo ha fatto soprattutto per difendere il profeta, per respingere l’accusa che l’Islam sia stato diffuso con la spada e per affermare che l’Islam è una religione ragionevole, mostrando il posto della ragione nell’Islam. Tutto questo non vede il vero contenuto del discorso del Santo Padre, mi sembra che siano stati pochi quelli che hanno visto al di là dell’introduzione del Santo Padre quando cita i documenti criticati. Le argomentazioni che propone, inoltre, non sono sfavorevoli all’Islam.

Leggendo tutto il testo, ci si rende conto che sarebbe altrettanto valido anche senza il riferimento al dialogo tra l’imperatore bizantino e il dotto persiano, che ha originato tante polemiche. Forse lo si poteva non inserire. Le reazioni si sarebbero potute prevedere. Quali sono le ragioni per le quali il Papa ha voluto questa prima parte?
Questo non lo saprei dire. È vero, il discorso su ragione e religione poteva essere fatto senza questa introduzione, si poteva avere un’altra introduzione ma era un punto di partenza che il Santo Padre ha giudicato interessante. È vero anche che c’è una violenza in questo mondo che è praticata in nome dell’Islam. Non direi per motivi strettamente legati all’Islam ma certamente in nome dell’Islam, per esempio da alcuni suicidi che si mostrano col Corano prima di togliersi la vita uccidendo altre persone. Ciò crea un pericoloso legame tra religione e violenza, evidente nel nostro mondo di oggi. Questo non è un attacco contro l’Islam, è un attacco contro un falso intendimento dell’Islam. Anche i musulmani direbbero che questo non è Islam, ma d'altra parte è ciò che si verifica oggi, e di questo tutti noi siamo coscienti. Il fenomeno è profondamente diverso da altri tipi di terrorismo: se si pensa a Sendero luminoso in America Latina o all’Eta nei paesi Baschi, questi gruppi non agiscono in nome della religione. Non sono motivi religiosi che li spingono: questo fenomeno di violenza e religione si trova di fatto solo in questi attentati compiuti da alcuni musulmani. Dire questo non è certamente un’accusa a tutto il mondo islamico.

Avendo visto le reazioni dei media arabi che hanno riportato i passaggi più polemici, come Nunziatura non avete pensato a tradurre il discorso e diffonderlo?
Il discorso è stato tradotto in arabo, ne ho portato una traduzione ancor più accurata allo sheikh Tantawi. Anche la Chiesa locale si è mossa, ad esempio un sacerdote qui al Cairo ha fatto un piccolo volantino spiegando questo discorso: la Chiesa locale ha fatto diverse cose, e non sta necessariamente al Nunzio di prendere il suo posto.

Personalmente come giudica la vicenda?
Questo discorso ha creato difficoltà. Non possiamo negare che ci siano state difficoltà per il dialogo tra cristiani e musulmani, ma sono difficoltà momentanee specialmente a causa di quel sospetto a cui ho accennato prima. Ma non credo assolutamente che questo sia la fine del dialogo, anzi, credo che possiamo andare avanti e discutere alcuni dei temi che sono suggeriti in questo discorso. Bisogna creare il clima per fare questo con calma, senza avere l’impressione che l’uno voglia vincere sull’altro. Deve essere un vero scambio per scoprire le diversità di posizione. Vedremo cosa accadrà. Mi auguro che questo discorso possa essere un incentivo ad un dialogo più profondo.

Per anni è stato al Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Da dove nasce la volontà della Chiesa di comunicare con le altre religioni? Quali sono le ragioni di questo dialogo, cosa c’è alla base di questa volontà?
Ci sono state sempre alcune persone che hanno avuto l’idea di essere vicine a persone di altre religioni, rispettandone il credo, ma non c’è stato un movimento del dialogo interreligioso come invece c’era un movimento ecumenico prima del Concilio Vaticano II. Credo veramente che sia stato il Concilio a dare fondamento al dialogo inter-religioso, che non è solo con i musulmani ma anche con le altre religioni. Credo che non sia una nuova concezione della Chiesa quella presentata dal Concilio ma un altro modo di intenderLa: la Chiesa come sacramento, come segno dell’unione dell’umanità con Dio e dell’unione tra gli esseri umani stessi. La Chiesa è il segno di questo: dunque anche quando le persone non sono cattoliche, quando non fanno parte della Chiesa, esse stanno a cuore alla Chiesa stessa. La Chiesa è un segno di ciò che Dio sta facendo anche attraverso le altre religioni. In questo senso il dialogo fa parte della missione della Chiesa per realizzare il regno di Dio in questo mondo, che troverà la sua pienezza nel mondo venturo. Con questa finalità il Concilio Vaticano II ha prodotto la dichiarazione Nostra Aetate, autentico fondamento non teologico ma pastorale per il dialogo con le altre religioni.

Il dialogo interreligioso - nella fattispecie due religioni come l’Islam e Cristianesimo che si parlano - potrebbe sembrare difficile da immaginare. Cosa vuol dire?
Il dialogo non si fa tra istituzioni, il dialogo avviene tra le persone che appartengono alle istituzioni. La persona è inevitabilmente marcata dalla formazione religiosa che ha ricevuto: non si può astrarre la persona dall’istituzione, perché il dialogo non può che essere tra le persone. Può avvenire solo sulla base di un grande rispetto reciproco e sul principio (sottolineato dal Concilio) della libertà religiosa. Devo rispettare la scelta che ha fatto l’altra persona. Il dialogo può svilupparsi su queste basi anche perché abbiamo tutti dei punti in comune, una vocazione umana che è comune. Dio ci ha creati ed ogni persona si pone le questioni fondamentali dell’esistenza, dell’aldilà. Possiamo trovarci insieme su questo binario.

Come giudica il fatto che, tra le diverse religioni, il rapporto più problematico sembra quello con l’Islam?
Ci sono diverse ragioni. Cristianesimo e Islam sono religioni missionarie, sentono la vocazione di portare il proprio messaggio al mondo intero: il Cristianesimo dice di andare e predicare il Vangelo, l’Islam dice che il suo messaggio è misericordia per tutta l’umanità. Queste spinte missionarie finiscono per “scontrarsi”. Ciò non vuol dire che le altre religioni non siano missionarie, lo è anche il buddismo. C’è un’altra differenza tra Islam e le altre religioni: l’Islam ha un grande impatto sulla vita sociale e politica. Questo fa si che l’incontro coi musulmani sia più difficile perché le loro esigenze sono maggiori rispetto a quelle di altre religioni. Le altre religioni non danno una tale impronta sulla società. L’Islam ha un forte contenuto sociale, che risale alla concezione della legge di Dio da applicarsi in ogni aspetto della vita.

Da presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso a Nunzio Apostolico al Cairo. Come è cambiata la sua missione?
Il Consiglio è un ministero che favorisce il dialogo con tutte le religioni; qui al Cairo ci sono solo (salvo qualche eccezione) cristiani e musulmani. Il Nunzio è il rappresentante del Santo Padre presso il governo egiziano ma Lo rappresenta anche presso la Chiesa locale. Le mie attività in questi mesi sono state intense anche con la Chiesa cattolica, impegno che al dialogo interreligioso non avevo. Sembra strano ma negli anni scorsi, pur essendo in Vaticano, il mio lavoro era meno “religioso” di quanto non lo sia adesso. I contatti con le comunità che vivono e lavorano in Egitto sono un aspetto importante del mio lavoro. L’altro aspetto sono i rapporti con il governo egiziano e la Lega Araba. In particolare mi auguro che si sviluppino i rapporti con quest’ultima. Il delegato della Lega Araba a Roma è accreditato pure presso la Santa Sede: sono stato contento di sapere che anche lui era presente all’udienza che il Santo Padre ha concesso ai diversi ambasciatori musulmani dopo il discorso di Ratisbona. Il Santo Padre ha sottolineato in quell’occasione come la Santa Sede continui a vivere nell’applicazione del Concilio Vaticano II e come non sia cambiato il proprio atteggiamento di apertura manifestato antecedentemente. Le difficoltà sono legate alla situazione politica attuale nel mondo, alle polemiche sulle caricature e a quelle sul velo. C’è la tendenza purtroppo a mettere insieme tutti questi fenomeni anche se non hanno molto a che fare. Il Santo Padre, davanti alle reazioni del mondo musulmano, ha cercato un modo di spiegarsi. E si è trovata questa occasione. A questa udienza sono state invitati anche i rappresentanti delle comunità islamiche italiane. E’ stato un messaggio al mondo intero.

Come vede gli sviluppi futuri del dialogo interreligioso? Verso quale direzione si sta andando?
Non so di preciso verso quale direzione si andrà. Ci sono dei segnali che mi danno fiducia. Vedo la volontà di alcuni giovani cristiani e musulmani di capire la religione dell’altro. Mi sembra che sia un segno di buona volontà. So ad esempio che ad inizio novembre c’è stato un incontro ad Assisi cui hanno partecipato giovani di diverse religioni, per commemorare i 20 anni della Giornata di Preghiera per la Pace. Questi giovani sono realisti, riconoscono le difficoltà del nostro mondo ma esprimono insieme una volontà di andare avanti. E’ lo spirito che dobbiamo comunicare. Il mondo di oggi, nel pluralismo religioso e culturale crescente, chiede questo dialogo, che non è un compromesso. È un modo di comunicare se stessi nel rispetto reciproco.

Amir Tewfik
*L’intervista è stata realizzata prima del viaggio del Santo Padre in Turchia


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