giovedì 28 dicembre 2006

Spie naziste contro il Vaticano



Non solo una menzogna era buona quanto la verità, a volte era migliore della verità. Questo potrebbe essere benissimo l’epitaffio dell’opera di spionaggio tedesco contro il Vaticano durante la seconda guerra mondiale.” Così si conclude il volume di David Alvarez e Robert Graham SJ, “Spie naziste contro il Vaticano”, pubblicato in traduzione italiana nel 2005. Il libro è un affascinante percorso nei meandri dell’attività spionistica ai danni della Santa Sede messa in opera dal Governo tedesco dal 1939 al 1945; attività senza dubbio febbrile, nonostante le ridottissime dimensioni dello Stato vaticano. L’interesse dell’intelligence tedesca verso la Sede Apostolica si spiega se si considera come nella mente di Hitler – e di molti suoi collaboratori, a cominciare da Heinrich Himmler e da Reinhard Heydrich – il Vaticano fosse innanzitutto una centrale organizzativa di pericolose trame anti-naziste. Le supposizioni che stavano alla base dello spionaggio tedesco, evidentemente, erano per lo più assurde; ne è una prova evidente il cosiddetto “piano Tisserant” (dal nome del cardinale francese Eugène Tisserant, allora Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali), che secondo Heydrich prevedeva “un futuro blocco orientale composto dalle cattoliche Croazia, Slovacchia e Russia, per completare un blocco occidentale costituito da Francia, Italia, Spagna e Portogallo”, come “parte di una politica a lungo termine intesa ad accerchiare il Reich con stati cattolici ostili”.
Nonostante le premesse, viziate dalle ossessioni anti-cattoliche dei massimi responsabili del Governo del Reich e di numerosi funzionari dei servizi di intelligence, la Germania hitleriana cercò ininterrottamente di tessere una vera e propria “rete” intorno al Palazzo Apostolico, con risultati contraddittori. In termini di lucidità e di coerenza, infatti, il buon esito degli sforzi tedeschi fu ostacolato più volte dall’eccessivo numero di enti e di uffici che – ognuno con propri obiettivi di potere e di prestigio e con propri informatori – si dedicavano a tenere sotto controllo l’attività e la corrispondenza del Vaticano. In secondo luogo, la coltre ideologica così comune a tanti importanti funzionari del regime impediva una considerazione realistica della natura e dell’apparato organizzativo della Santa Sede; per questo, tra le file dei sedicenti “informatori” dei nazisti non era infrequente trovare impostori di varia provenienza. È il caso, ad esempio, di Virgilio Scattolini – già collaboratore di vari giornali italiani e dell’Osservatore Romano – che, dal suo appartamento presso Piazza di Spagna, “inventava servizi basati su un attento esame dell’elenco quotidiano delle udienze papali e su una molto ampia dose di fantasiosi particolari concernenti il presunto contenuto e i risultati di tali udienze”, riferendo talvolta persino di udienze papali immaginarie. Peraltro, occorre dire che tra le vittime eccellenti di questo “vaticanista falsario” ci fu anche l’American Office of Strategic Services (OSS, antesignano della CIA), che cominciò a sospettare di questa fonte solo nel 1945.
Decisamente più fruttuosa si sarebbe rivelata l’attività degli analisti intenti a intercettare le comunicazioni radio dal – e verso il – Vaticano e a decrittare i codici cifrati utilizzati dalla Segreteria di Stato per comunicare con i Nunzi Apostolici nei diversi Stati del mondo, belligeranti e non. In questo ambito ai tedeschi facevano un’adeguata concorrenza gli italiani, attraverso il proprio servizio segreto militare (SIM, ovvero l’attuale SISMI), che poteva avvalersi di un reparto speciale, la Sezione Prelevamento, specializzato in incursioni clandestine in ambasciate e legazioni straniere per fotografare documenti segreti.
In ogni caso, lo scoglio più difficile da superare per qualsiasi tentativo tedesco di infiltrazione nel Vaticano fu la particolare natura del personale vaticano alle dipendenze del Santo Padre, quasi esclusivamente ecclesiastico e per lo più legato al Pontefice da un profondo senso di fedeltà. A ciò si deve aggiungere che i depositari delle informazioni più segrete riguardanti la Germania si potevano contare sulle dita di una mano, a dimostrazione ulteriore del fatto che – come sottolinea la Conclusione del volume – la sicurezza di un segreto è inversamente proporzionale al numero delle persone che ne sono a conoscenza. Peraltro, in merito a certe questioni particolarmente delicate Pio XII, che dal 1930 gestiva in prima persona la politica estera della Santa Sede verso il Reich, scelse deliberatamente di tenere all’oscuro alcuni dei suoi più fidati collaboratori – compreso il Cardinale Segretario di Stato Luigi Maglione – per ridurre al minimo il rischio di indiscrezioni da parte vaticana. Avvenne così, per citare l’esempio più eclatante, quando alcuni membri della resistenza tedesca antinazista, inseriti nei servizi segreti militari, chiesero (e ottennero) che il Santo Padre potesse fare da mediatore tra loro e gli alleati, nella persona dell’incaricato d’affari britannico presso la Santa Sede, Sir Francis D’Arcy Osborne. Nessuno in Vaticano, ad eccezione del fidato segretario personale del Pontefice, il gesuita tedesco Robert Leiber, venne a conoscenza dei frequenti colloqui che Osborne intrattenne fino alla prima metà del 1940 con Pio XII, anche al di fuori dell’orario consueto e senza mai passare per i tradizionali canali della Segreteria di Stato.
Per queste ragioni, nonostante il Vaticano sia stato per tutta la durata del secondo conflitto mondiale lo Stato più “densamente spiato” in proporzione all’ampiezza del suo territorio, i tentativi di carpire informazioni vitali per la Germania e per il conflitto, più volte messi in atto dal Governo tedesco, si rivelarono in gran parte privi di una reale utilità.
In definitiva, l’opera di Alvarez e Graham getta una luce su una pagina poco conosciuta della storia contemporanea e della storia della Chiesa, contribuendo ad avvalorare la tesi secondo la quale l’attività di spionaggio non fornisce di per sé la certezza di poter vincere un conflitto. Nell’era della comunicazione digitale, questo libro offre così una preziosa testimonianza di come anche la tecnologia più avanzata debba talvolta arrendersi di fronte a un “nemico” povero di mezzi – come lo era il Vaticano a quell’epoca, addirittura privo di un vero e proprio ufficio cifre – ma consapevole di difendere, con il proprio operato e il proprio contegno personale, un fine superiore.

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